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Cronache dagli spalti su Roma-Fiorentina

2 - 1

17 ottobre 1998


Sabato 17 ottobre 1998, stadio Olimpico, novantesimo minuto. Sessantamila tifosi si preparano a sfollare. I più prudenti hanno già abbandonato il loro posto, per giocare d'anticipo sul traffico del rientro a casa. La Roma, già in formazione d'emergenza contro la Fiorentina capolista, è ridotta in nove ed è sotto di un goal. Seimila tifosi viola festeggiano il quinto successo consecutivo della loro squadra e l'ennesima vittoria firmata Bati-goal. Per la cronaca, da qualche minuto è in campo un altro argentino, che fino all'anno scorso sognava di fare da raccattapalle a Batistuta, ora gioca nella Roma e vuole sfruttare fino in fondo il quarto d'ora a sua disposizione per farsi notare. E' un giovane di belle speranze, che nella Roma di Zeman fa la riserva a Delvecchio. Una, due, tre, quattro finte. L'intera difesa dei viola si ritrova con il sedere per terra. Il biondo centravanti alza la testa, e serve Alenitchev sulla linea di porta. Un urlo, un boato, un grido di liberazione. Acciuffare il pareggio in nove, al novantesimo, contro la capolista, è una di quelle imprese da ricordare e a cui l'Olimpico dedica la sua più vigorosa esultanza. Un goal da batticuore, anche perché in precedenza i viola avevano buttato via, un po' per la prontezza di Chimenti, un po' per l'egosimo di Batistuta, numerose palle-goal per il raddoppio, l'ultima subito prima del pareggio. Palla al centro, per gli spiccioli di recupero, e vedi una Roma che fa strabuzzare gli occhi. Tutti sul pallone, tutti in avanti. Come se quello fosse stato il calcio d'inizio di una finale di coppa, undici contro undici. E invece erano iniziati i quattro minuti di recupero di una gara in cui tutti avevano speso l'anima, si stava finendo con due uomini in meno, e dall'altra parte c'era la Fiorentina di Batistuta, Edmundo e Oliveira. Qualunque altra squadra al mondo avrebbe aspettato il fischio finale per andare a festeggiare il pareggio acciuffato per miracolo. La Roma no. Non con l'intero Olimpico in festa, che chiedeva di insistere. Novantaquattresimo. Bartelt, ancora lui. Stavolta è Di Francesco a pescarlo in profondità. Prontissimo tiro, ma Toldo c'è. Ancora lui sulla respinta, stesso giochetto e tutti i difensori viola ci cascano anche stavolta. Palla in mezzo, come prima. Totti, Totti, Totti. L'attimo che precede il suo tiro a due passi dalla porta dura un secolo. Goal. L'urlo dell'Olimpico non si può raccontare. Sessantamila persone impazzite, incredule, ubriache. Il boato è interminabile, l'esultanza è incontenibile, gli abbracci fanno pensare ad altre epoche e altre vittorie, ma un urlo così assordante e prolungato è difficile da ricordare, anche risalendo indietro con gli anni. Al fischio finale è un tripudio. L'immobilità dei tifosi viola, nello spicchio dei Distinti Nord, contrasta con una enorme cornice giallorossa in festa. Come fu sette anni fa in quella semifinale europea contro il Broendby, con la qualificazione acciuffata per i capelli, lo stadio al fischio dell'arbitro non si svuota, e i tamburi della Sud continuano a rollare. Anche quando il campo rimane vuoto, dopo la corsa sotto la curva di Totti e compagni, sugli spalti si continua a cantare e ballare. La Roma, oggi magica come non mai, ha ribaltato il risultato in nove, contro la capolista, nei minuti di recupero. Con una difesa di panchinari, il portiere di riserva, la quinta punta Gautieri al posto del brasiliano Paulo Sergio. Con altri giocatori reduci da voli intercontinentali e partite infrasettimanali con le varie nazionali. Con la colonna di sempre, Aldair, in tribuna per uno stupido cartellino rimediato a Genova. Con Di Biagio e Candela meritevoli di schiaffi per aver lasciato i compagni da soli quando c'era da provare a rimontare. Ma con un giovane argentino dai capelli d'oro che voleva far vedere di cosa è capace. Con un capitano di ventidue anni che da piccolo faceva l'ultrà nella Sud. E con uno stadio, uno stadio intero, che ci ha creduto. Fino alla fine, e anche oltre.







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